Quando una strada statale divide in un due il paese in cui vivi, è inevitabile che gli abitanti si sentano un po’ separati e distinti da quelli della parte opposta. Anche al mio paese ci sono “quelli di qua” e “quelli di là” dalla strada.
Poi un giorno ti fermi, guardi lo specchietto retrovisore e pensi che quella linea mentale si sta dissolvendo, mentre rimami a guardare quella striscia di asfalto di Stato che al massimo invecchia mostrando i segni dell’età e l’incuranza di chi dovrebbe accudirla.
Rimango in macchina. Fuori fa freddo e vedo Nicola sul ciglio della strada. Ormai è grande, avrà cinquant’anni e quella strada lui, non l’ha mai attraversata. Lui vive nella parte ovest del paese, quella col campo da calcio per intenderci. C’è solo quello, il campo da calcio, più bello e grande di quello che avevamo noi nella parte est che invece avevamo cinque negozi, un bar e una chiesa.
Nicola è stato sempre adulto e per la logica dei bambini stronzi, essendo lui un ragazzo con evidenti ritardi mentali, noi potevamo prenderci gioco di lui, raccontargli storie e bugie su quello che era il mondo di là dalla strada e d’estate tirargli gavettoni d’acqua.
Viveva solo con sua madre, Nicola. Una donna che non si vedeva mai in giro, nemmeno per andare a fare la spesa o per andare a messa. Se c’era qualche parente o amico che portava loro tutto il necessario per vivere, noi non lo abbiamo mai visto. Di lei sappiamo solo che aveva vietato a suo figlio di attraversare la strada statale perché pericolosa. E considerando che nemmeno lei ci andava mai dall’altra parte, Nicola non l’aveva mai vista quella metà del paese.
Una volta abbiamo raccontato a Nicola che di là dalla strada, in un negozio che vendeva bottoni, c’era una commessa bellissima, bastava comprare un bottone e lei ti portava nel retrobottega e si mostrava tutta nuda come mamma l’aveva fatta. Una specie di promozione, ecco. Nicola girò per mesi senza bottoni e con la delusione in faccia perché sua madre gli aveva vietato di andare in quel negozio dall’altra parte della statale. Probabilmente nemmeno lei sapeva che quel negozio era solo frutto della nostra fantasia.
O quando a Nicola abbiamo raccontato che di là c’era il bar dove veniva sempre Toto Cutugno a prendere il caffè. Quella volta si mise a piangere e iniziò a pregare sua madre per portarcelo. Sua madre s’arrabbiò di brutto con noi e da allora abbassammo il tiro delle cazzate.
E poi la storia che di là il Natale si festeggiava a Giugno o che la Coca Cola costava la metà o che c’era un campo da calcio grande come un stadio e storie simili.
Nicola non attraversò mai quella strada. Non l’attraversò nemmeno quando morì sua madre. La chiesa era dall’altra parte e i parenti provarono in tutti i modi a convincerlo, ma lui niente. “La mamma non vuole”, diceva. Rimase dall’altra parte della strada tutto il tempo del funerale, in piedi col vestito nero elegante a guardare la punta del campanile e ad ascoltare quei rintocchi stonati.
Oggi Nicola è lì, che continua a giocare con i bambini che per lui sono coetanei. Forse anche loro lo prendono in giro e per lui il tempo non passa.
Mio figlio Luca sale in macchina. Mi saluta poi indica Nicola che è come sempre sul ciglio della strada, da più di mezz’ora. “Papà, lo facciamo attraversare?” chiede mio figlio.
Penso che i ragazzi oggi sono migliori di quello che eravamo noi, o almeno mi piace sperarlo. Penso alle delusioni passate e ai progetti futuri. Penso a quell’uomo semplice di fronte a me, in piedi, che guarda a destra e a sinistra cautamente, ma che ancora continua a giocare con un sogno vero in testa.
“Meglio di no, Luca”. Accendo il motore e andiamo verso casa.
La foto è di Claudia Perilli da Flickr.
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