È un po’ come con le ciliegie e le albicocche, a distanza di un anno mi sembra sempre di assaggiarle per la prima volta. Con i salti è la stessa cosa. Noi del Lido, i tuffi dallo scoglio, quello vicino alla Pineta di Santa Maria, li chiamiamo i salti. Dieci metri di altezza e pochi secondi di urla, sono un gioco che dura dagli anni Sessanta. Un gioco che quel pezzetto di mare ha accettato di condividere con chi ha il coraggio di buttarsi. Non importa che tu abbia sei o cento anni, i salti da qui li fanno tutti. Io ci sono nato ed ho imparato che ero meno di un bambino. I miei genitori sono quelli dello Stella Marina, il primo stabilimento del litorale che nel Dopo Guerra aprì mia nonna, con la pensione di invalidità del marito. Ogni anno da quassù controllo cos’è cambiato intorno. Le luci al led hanno preso il posto dei neon, i colori si sono fatti uguali in un bianco ottico chic, e le persone, anche quelle sono cambiate. Solo il mare, l’odore di sale e lo Stella Marina non cambiano mai. Loro non cambiano mai.
“Noi siamo gente semplice e quei posti sofisticati non sono per noi” dice sempre mia madre mentre pulisce le mattonelle rosse che mise mio nonno. “I clienti vengono da noi perché abbiamo i prezzi bassi e siamo umili” continua.
In realtà i clienti sono sempre di meno e i pochi anziani rimasti sono quelli che tra i cocktail e i salottini in spiaggia, proprio non ci vogliono stare.
Guardo gli ombrelloni arancioni e verdi, chiusi, quelli che mio padre cambiò con la pensione della nonna vent’anni fa, prima che lei morisse.
Sento lo sguardo addosso di Valeria che mi sta aspettando seduta laggiù sul muretto.
“Sbrigati che altrimenti facciamo tardi” mi ha detto mentre mi toglievo le scarpe e appoggiavo i piedi sulla sabbia fresca della prima mattina.
Anche Valeria una volta ha saltato, ma per lei è diverso. Io qui ci sono nato. Io in questo mare ho sognato mille avventure. Ho detto ti amo a ragazze che passavano di qui solo per un’estate. Mi sono ubriacato e c’ho fatto l’amore in questo mare. Credo che Valeria tutto questo, però, lo possa immaginare. È lei che mi aiuta a togliermi da qui, da questo posto. Lo fa con delicatezza, la stessa con cui ci si toglie una spina dalla pelle. Senza farmi male.
Ma io ho paura. Guardo il vuoto sotto e stavolta ho paura. Che poi, ci penso e vuoto non è. C’è il mare, e si sa, il mare è vita.
Guardo i miei piedi magri e ancora bianchi aggrappati allo scoglio. Aspettano solo il via. Aspettano che io mi decida a lasciare la mia tana sicura, dove non ti può succedere niente, nemmeno di vivere. Perché ho paura di cambiare? E se dovessi essere felice, non sarò più riconosciuto dagli altri animali semi-tristi che vivono nella tana insieme a me?
Lo Stella Marina e gli ombrelloni cominciano ad aprirsi. Lascerò questo posto per una città senza mare, per un lavoro per il quale ho studiato. Diventerò l’uomo che sarò. Perché è così che deve andare. “Cosa ci fa uno come te in un posto come questo?” mi disse Valeria. Quella volta aprii gli occhi e la realtà bruciava come l’acqua salata.
Questa volta il salto è diverso. Valeria da lontano mi sorride piano. Sento le voci di tutti quelli che il salto l’hanno fatto. Sento gli applausi e le grida di eccitazione di chi è passato di qui. Sento i pianti di chi non c’è riuscito. Sento la voce di mio nonno che non ho conosciuto, quella di mia madre che mi chiama. Sento tutti gli anni che ho addosso, quelli che servono, necessari per saltare. Ci sono. Ho paura e sono felice.
I piedi adulti hanno ricevuto il segnale. I muscoli sono pronti ed io apro le braccia per buttarmi nel vuoto pieno del mio futuro.
La foto è di Phileveryday
One comment
Paola
Posted on 13 Giugno 2020 at 22:41E Già i Cambiamenti fanno paura,ma a volte sono necessari e ripensandoci dici : perc non mi sono buttaTo prima.?